La sentenza della Corte di Appello di Roma in commento, relativa all’applicabilità dei tassi soglia d’usura agli interessi moratori, si pone nel solco delle decisione sfavorevoli alle banche. Si tratta di una decisione sicuramente di rilievo, sia per l’importanza del foro di provenienza, sia in quanto perviene dal giudice dell’impugnazione.

Gli argomenti giuridici alla base della decisione non sono nuovi e sono stati più vote dibattuti, con esiti alterni, dai giudici del Tribunale capitolino.

La Corte di Appello, disattendendo le interpretazioni di opposta tendenza, ha sostanzialmente dato credito alla tesi secondo cui i tassi di mora, benché non concorrino alla formazione del TEGM, rientrano nelle previsioni normative della Legge 101/96 e dell’art. 640 c.p.,

Si ricorda che il TEGM è il tasso effettivo globale medio comprensivo delle commissioni, remunerazioni e interessi praticati dalle banche, rilevato secondo le istruzioni di Banca d’Italia, che concorre a calcolare trimestralmente il tasso soglia d’usura.  Gli interessi di mora, essendo ricollegabili al solo ritardo di pagamento non sono appunto  ricompresi nel TEGM.

Tuttavia, sostiene la Corte, in linea con la giurisprudenza di legittimità, che “nonostante la Banca d’Italia si sia pronunciata in maniera sfavorevole circa la comprensione del tasso di mora nel computo del tasso soglia, le sue determinazioni non hanno natura vincolante in questa materia e quindi costituiscono una metodologia di riferimento per la valutazione dei casi concreti … Assodato che i tassi di mora non concorrono a determinare il TEGM, a ciò dunque non consegue la non assoggettabilità dei medesimi al rispetto delle soglie d’usura”.

Ancora la Corte richiama, in punto, l’art. 1 della Legge 394/2000 che, come è noto è proprio la legge interpretativa della legge 101/96 sull’usura; sottolinea quindi la Corte che il testo normativo (e i lavori preparatori n.d.a.), fanno chiaro riferimento agli interessi promessi a “qualsiasi titolo”, quindi anche a quelli di mora.

Conclude poi la Corte capitolina che dalla usurarietà degli interessi di mora consegue la applicazione dell’art. 1815 secondo comma c.c., il quale prevede la conversione del mutuo in negozio giuridico gratuito: “non sono dovuti gli interessi sul capitale prestato dal mutuante”.

La sentenza in commento riapre la possibilità di esperire presso le sedi giudiziarie romane, contenziosi bancari, sul presupposto che, almeno in appello, la domanda di dichiarazione di nullità delle clausole usurarie e di ripetizione degli interessi sia favorevolmente accolta.