La corte di Cassazione con la sentenza in commento è tornata sull’argomento della responsabilità del committente per i danni causati a terzi nell’esecuzione del contratto di appalto.
La giurisprudenza di legittimità ha da anni affrontato l’argomento discettando intorno al nocciolo centrale della questione, ovvero se la consegna del bene all’appaltatore liberi o meno il committente della responsabilità da custodia, afferente sia i danni ingenerati dalla “cosa”, sia quelli riconducibili all’attività dell’appaltatore.
In questi ultimi anni è stato affermato dalla giurisprudenza di legittimità che ciò che rileva è l’integralità o meno della translatio dal committente all’appaltatore del potere di fatto sull’immobile su cui devono compiersi i lavori. Se il trasferimento del potere sulla cosa è integrale, così che il committente perda ogni potere di fatto sulla cosa, allora l’appaltatore sarà l’unico responsabile per danni ingenerati dal bene in relazione alle opere eseguite (Cass. sez. 2, 17 aprile 2001 n. 5609; Cass. sez. 3, 6 ottobre 2005 n. 19474).
E’ stato tuttavia rilevato dalla stessa giurisprudenza di Cassazione che “il committente, che ne sia proprietario o possessore, resta certamente nel possesso e nella giuridica detenzione, del bene oggetto dell’appalto e ne può disporre, sia giuridicamente che materialmente, conservando sempre il potere di impartire direttive all’appaltatore in merito alle opere da eseguire ed alle modificazioni da apportare”; il committente, resterebbe dunque sempre custode del bene oggetto di appalto (Cass. sez. 3, 28 settembre 2018 n. 23442)[1].
In questo senso, dunque, per liberarsi dalla responsabilità oggettiva dell’art. 2051 c.c., il committente dovrà provare il caso fortuito, allegando e dimostrando “di avere scelto un appaltatore adeguato, di avergli fornito adeguate direttive e di avere esercitato i suoi poteri di controllo e vigilanza sull’attività dello stesso con la necessaria diligenza”.
Una importante affermazione della giurisprudenza riguarda l’insussistenza del discrimine tra “danni derivati dalla cosa” e “danni derivati dall’esecuzione dei lavori” eseguiti dall’appaltatore, infatti il custode è responsabile di tutto ciò che avviene nella cosa o sulla cosa.
A rafforzare l’asserzione che l’appalto di opere non comporti la perdita della custodia per il committente, la Cassazione richiama, per analogia, la fattispecie locatizia, ove notoriamente il proprietario non si spoglia della custodia dell’immobile di sua proprietà per il solo fatto di averlo locato (Cass. sez. 3, 26 novembre 2019 n. 30729[2] ).
Altra importante passaggio della sentenza in commento è costituito dall’osservazione che il “caso fortuito” non può automaticamente coincidere con l’inadempimento dell’appaltatore degli obblighi contrattualmente assunti nei confronti del committente, non potendosi sminuire il concetto di imprevedibilità/inevitabilità che costituisce la sostanza del caso fortuito previsto dall’art. 2051 c.c. come limite della responsabilità oggettiva ivi configurata: “L’imprevedibilità/inevitabilità, pertanto, non deve essere degradata a una vuota fictio, bensì afferire ad una condotta dell’appaltatore non percepibile in toto dal committente che – adempiendo così rettamente il suo obbligo custodiale – abbia seguito l’esecuzione del contratto con un continuo e adeguato controllo, eventualmente tramite un esperto direttore dei lavori” .
Ancora da rilevare che a giudizio della Corte la clausola di un contratto di appalto ove sia previsto che i danni a terzi conseguenti all’esecuzione dell’appalto siano a totale ed esclusivo carico dell’appaltatore, rimanendone indenne il committente, non può essere da quest’ultimo invocata quale ragione di esenzione dalla propria responsabilità risarcitoria nei confronti del terzo danneggiato, operando detta clausola sul solo piano contrattuale interno (1372 c.c.) e giustificando, casomai, il mero diritto di rivalsa del committente che abbia risarcito il terzo nei confronti dell’appaltatore.
_________________________________________________________
[1] “Non si può pertanto consentire, di regola, al custode di liberarsi della sua posizione di “garanzia” semplicemente trasferendo contrattualmente tale posizione in capo ad un terzo”, così finendo “per eludere l’effettiva funzione della disciplina della responsabilità per i danni causati dalle cose”, di cui invece, ai sensi dell’art. 2051 c.c., il “custode” è sgravato soltanto se sussiste il caso fortuito e se – nella ineludibile traduzione processuale della regola sostanziale – questo è provato dal custode stesso”.
[2] “In tema di danni causati a terzi da cose in custodia ai sensi dell’art. 2051 c.c., originati da un immobile condotto in locazione, sussiste la responsabilità del proprietario ove detti danni siano derivati da vizio strutturale del bene, che investa le mura od impianti ivi conglobati, dovendosi presumere che il conduttore sia stato immesso in queste condizioni nella disponibilità della “res locata”. Al contrario, la riconducibilità del menzionato vizio alle anomale iniziative dello stesso conduttore può assumere rilievo qualora essa sia dimostrata dal proprietario ai fini della rivalsa o quale caso fortuito, idoneo ad esonerare il locatore da responsabilità, ma solo nei limiti, tipici del “fatto del terzo” ex art. 2051 c.c., in cui tale riconducibilità, rivelandosi come autonoma, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile, risulti dotata di efficacia causale esclusiva nella produzione dell’evento lesivo.”