La sentenza della Cassazione n.350/2013, che si è pronunciata in materia di usura bancaria, con riferimenti ai contratti di mutuo, sin dalla sua pronuncia ha ingenerato un vero e proprio dissidio giurisprudenziale sulla interpretazione della Legge 108/1996, la quale si era prefissata lo scopo di delineare la disciplina dell’usura in chiave oggettiva secondo parametri predefiniti, ovvero attraverso la creazione, da parte del Ministero del Tesoro, di tassi soglia insuperabili dalle pattuizioni contrattuali.
Il dibattito verte essenzialmente sulla metodologia di verifica del superamento della soglia d’usura, ovvero, più precisamente, su quale ruolo rivestano gli interessi di mora previsti in ogni contratto di finanziamento al fine del rispetto della legge anti usura.
MUTUI USURARI
Il punto centrale della questione consiste nello stabilire se gli interessi di mora devono essere presi in considerazione per la valutazione della usurarietà del contratto e, in caso di risposta positiva, se devono essere confrontati al tasso soglia separatamente dagli interessi corrispettivi o sommati a questi ultimi al fine di detta verifica .
La questione, come è intuibile, è di estrema importanza dal punto di vista pratico.
In ordine all’imputazione degli interessi di mora al fine della determinazione del tasso di interesse usurario, occorre richiamare i dati normativi, ovvero :
Legge 108/96 “per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito”.
Legge 28/02/201 n.24 di interpretazione autentica della Legge 108/1996 “Ai fini dell’applicazione dell’art.644 del codice penale e dell’art. 1815 del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento” .
La citata sentenza della Corte di Cassazione 350/13, richiamando la legge di interpretazione autentica del 2001, nonché propria precedente pronuncia, ha affermato che anche gli interessi di mora devono essere considerati ai fini della verifica del superamento del tasso soglia. Rilevava la Corte nel caso esaminato che i giudici dell’appello, in relazione al tasso contrattuale pattuito, non avevano tenuto conto, al fine della verifica dell’usurarietà, della maggiorazione di tre punti a titolo di mora.
All’indomani della sentenza, sono piovuti enfatici commenti da parte delle associazioni dei consumatori e critiche alla sentenza da parte delle alte sfere della Banca d’Italia.
I fautori della non cumulabilità, criticando la posizione assunta dalla Cassazione, fatta propria in passato anche dalla Corte Costituzionale, e trascurando inspiegabilmente il dato normativo della Legge 28 febbraio 2001 n. 24, abbracciano concettualmente l’impostazione assunta da Banca d’Italia nella “circolare” del 3 luglio 2013, pubblicata in aperto contrasto con la sentenza 350/2013.
Invero, occorre osservare che non è la prima volta che Banca d’Italia assume una posizione discordante, se non decisamente contraria, alle indicazioni della giurisprudenza, financo di legittimità.
In punto è appena il caso di accennare che il parere, sia pure autorevole, della Banca d’Italia non costituisce, come noto, fonte normativa; la Cassazione stessa ha avuto modo di precisarlo in più di un’occasione, così come recentemente anche il Tribunale di Milano (sentenza del 22 agosto 2013) e la Corte di Appello di Torino (sentenza del 20 dicembre 2013 – Pres. Grimaldi – Est. Federica La Marca).
Altrettanto palese è la circostanza che, benché Banca d’Italia sia un ente pubblico cui è demandato il potere di controllo dell’operato delle banche private italiane, essa stessa è società posseduta quasi interamente dalle banche (e dalle assicurazioni) su cui esercita detto controllo; ciò ha sempre ingenerato, tra gli operatori del diritto, forti dubbi di conflitto di interessi.
Banca d’Italia con il proprio intervento ha evidenziato come gli interessi contrattuali e quelli moratori non siano omogenei in quanto si fondono su presupposti diversi, tanto che le stesse circolari del Ministero dell’Economia e del Tesoro precisano che “i tassi effettivi globali medi (…) non sono comprensivi degli interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento”
Infatti, l’ente puntualizza che gli interessi di mora sono esclusi dal calcolo del TEG, perché non sono dovuti dal momento dell’erogazione del credito, ma solo in caso di un inadempimento da parte del cliente e se inclusi nel TEG potrebbero determinare un innalzamento delle soglie a danno dei clienti stessi.
Nella circolare si legge che “in ogni caso anche gli interessi di mora sono soggetti alla normativa anti-usura”. ……in assenza di una previsione normativa che determini una specifica soglia in presenza degli interessi di mora, la Banca d’Italia adotta nei controlli sulle procedure degli intermediari, il criterio in base al quale i TEG medi pubblicati sono aumentati di 2,1 punti per poi determinare la soglia su tale importo”.
Parrebbe allora che Banca d’Italia faccia riferimento al comma 3 dell’art. 644 CP (usura residuale) che prevede la commissione del reato d’usura anche quando gli interessi richiesti pur al di sotto del tasso soglia, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro.
Tuttavia l’assunto pare illogico e contraddittorio, infatti la citata norma penale fa espresso richiamo al tasso soglia prevedendo residuali fattispecie di reato, mentre, per Banca d’Italia, non esiste alcuna soglia legislativa per i tassi di mora.
La discrasia insita nel parere espresso in forma di circolare dalla Banca d’Italia non è sfuggita, del resto, alla più autorevole dottrina (A commento della comunicazione Banca d’Italia 3/07/13: Usura ed interessi moratori – Angelo Dolmetta)
Per quanto attiene alla giurisprudenza di merito, chiamata subito a pronunciarsi a seguito dalle numerose cause promosse dai consumatori, le decisioni ad oggi sono piuttosto limitate.
Dopo le prime sentenze della Corte di Appello di Venezia e del Tribunale di Rovereto espressesi conformemente al pricipio enunciato dalla Casazione, ovvero favorevolmente rispetto al metodo del cumulo degli interessi moratori con quelli contrattuali, al fine del raffronto con il tasso soglia, le più recenti pronunce, dei Tribunali di Napoli, Brescia, Milano, Verona, si sono discostate dalla impostazione dei giudici di legittimità.
In particolare il giudice monocratico del Tribunale di Milano, dottoressa Laura Cosentini, ha rigettato la tesi del cumulo degli interessi corrispettivi e di mora ai fini della verifica dell’usura, sottolineando la non omogeneità dei due tipi di tassi, anche e soprattutto in relazione alle loro rispettive applicazioni. I tassi non sarebbero cumulabili perché l’uno (il corrispettivo) si applica all’intero capitale mutuato, l’altro (quello moratorio) si calcola sulle sole somme impagate. Nonostante l’apprezzabile sforzo ermeneutico del magistrato in questione, la motivazione è stata molto criticata dal punto di vista della scienza della finanza matematica. Infatti sia gli interessi corrispettivi che quelli di mora sono percentualizzati su base annua e detto criterio li rende sicuramente omogenei dal punto di vista matematico.
Inoltre, anche dal punto di vista applicativo, ben può la mora essere applicata sull’intero capitale; ciò può avvenire nel caso in cui il mutuatario sia inadempiente dalla prima rata ed il mutuante, non avvalendosi della clausola risolutiva, attenda il decorso di tutte le rate e oltre, continuando ad applicare il tasso di mora, o ancora in caso di immediata risoluzione del contratto per inadempimento, nel qual caso gli interessi di mora si applicherebbero su tutto il capitale
Secondo il giudice monocratico di Milano, in ogni caso, i giudici di legittimità non si sarebbero affatto pronunciati nel senso della sommatoria degli interessi moratori con quelle corrispettivi.
Inoltre, qualora la banca si facesse promettere interessi di mora usurari, la conseguenza, per il giudice ambrosiano, non sarebbe la nullità delle clausole afferenti gli interessi in generale (ovvero corrispettivi e moratori), ma gli effetti dell’art.1815 C.C. ricadrebbero soltanto sugli interessi moratori, che non sarebbero più dovuti alla banca in caso di ritardato pagamento delle rate di mutuo.
Infatti, si legge in motivazione: “nel condividersi il principio affermato dalla Corte secondo cui la verifica del rispetto soglia d’usura va estesa alla pattuizione del tasso di mora, ne consegue che, ove detto tasso risultasse pattuito in termini da superare il tasso soglia rilevato all’epoca della stipulazione del contratto, la pattuizione del tasso di mora sarebbe nulla, ex art. 1815 comma 2 c.c. (e quindi non applicabile), con l’effetto che, in caso di ritardo o inadempimento, non potrebbero essere applicati interessi di mora, ma sarebbero unicamente dovuti i soli interessi corrispettivi (ove pattuiti nel rispetto del tasso soglia).
Per il Tribunale di Verona, sentenza del 27 aprile 2014, dott. Andrea Mirenda, la conclusione cui perviene il Supremo Collegio non sarebbe conciliabile con il dato normativo degli articoli 644 C.P. e 1815 C.C.; ritiene infatti il giudice della citta di Romeo e Giulietta, che dette norme facciano chiaro riferimento alle prestazioni di natura “corrispettiva” gravanti sul mutuatario, ben lungi dal prendere in considerazione gli interessi di mora. Pertanto la tesi della Cassazione (cumulo di tutti gli interessi ed oneri) presterebbe il fianco alla censura di irrazionalità: “Non pare invero corretto sindacare il rispetto del tasso-soglia “legale” mediante la comparazione del “tasso creativo” derivante dall’aggregazione giurisprudenziale criticata con un T.E.G.M. che, a torto o a ragione, “programmaticamente” non contempla gli interessi moratori se non nella cennata forma disaggregata”.
Infatti, per il Tribunale di Verona, in diritto sarebbe assorbente la circiostanza che, ai sensi dell’art. 2 Legge 108/96, le rilevazioni del Ministero del Tesoro, ai fini dell’ indicazione trimestrale della sogia di usura, non tengano conto degli interessi di mora.
Il Tribunale di Padova, con sentenza collegiale 8 maggio 2014, pur non argomentando sulla spinosa questione del cumulo degli interessi corrispettivi e di mora, si discosta dall’impostazione di totale “chiusura” del giudice milanese; per il collegio gli interessi moratori, pur tenuti separati rispetto agli altri oneri contrattuali, non devono comunque superare il tasso soglia, a pena di nullità di tutte le clausole afferenti gli interessi, con conseguente diritto del mutuatario a vedersi restituire, ex art. 1815 C.C., anche le somme versate alla banca a titolo di interessi corrispettivi.
Differentemente da quano asserito dal Tribunale di Milano, ed a parere dello scrivente in modo più coerente alla norma civilistica, il Tribunale di Padova rileva che “il dettato normativo se sono convenuti interessi usurari la clausola è nulla e non sono dovuti interessi, non consente di effettuare alcuna distinzione tra interessi corrispettivi e interessi moratori, nè tra le corrispondenti pattuizioni, e dall’altro che il tasso moratorio in quanto composto dagli stessi interessi corrispettivi al quale va aggiunta una determinata maggiorazione, ove usurario non può che travolgere necessariamente nella sanzione di nullità tutti i suoi componenti e quindi anche il tasso corrispettivo”.
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A sommesso parere dello scrivente, le decisioni di merito sopra richiamate non tengono in dovuto conto quanto prescritto dal legislatore con la Legge 28/02/2001 n.24, testo di interpretazione autentica della Legge 108/1996.
Il dato normativo è imprescindibile ai fini della risoluzione della fattispecie in commento, tuttavia esso non è mai richiamato e dovutamente commentato nelle motivazioni dei tribunali e delle corti di merito che si sono pronunciate in senso contrario a quello della Cass.350/2013.
Il testo normativo invero è chiaro :“Ai fini dell’applicazione dell’art.644 del codice penale e dell’art. 1815 del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano i limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento” .
La specificazione che si tratta proprio di interessi promessi “a qualunque titolo”, esclude la possibilità di una differenziazione tra interessi corrispettivi (o compensativi della prestazione) e interessi moratori.
E’ quindi la Legge stessa a conferire omogeneità, ai fini dell’usura, ai due diversi tipi di interesse, con buona pace di tutti coloro che hanno elucubrato, sia pure sagacemente, sulla diversa natura delle due fattispecie.
Se infatti geneticamente e funzionalmente gli interessi corrispettivi e di mora sono tra loro diversi, è il legislatore che li ha resi omogenei al fine di evitare il grave fenomeno dell’usura bancaria.
Del resto la diversa natura dei differenti costi del mutuo non impedisce certo, secondo il dettato e lo spirito della legge, la loro aggregazione, altrimenti si dovrebbe discutere anche sulla cumulabilità degli interessi con le commissioni e con le diverse spese previste dal contratto.
Ancora va detto che la giurisprudenza citata non ha sufficientemente rilevato come proprio il testo normativo della 108/1996, nella parte in cui delega il Ministero del Tesoro a compiere le rilevazioni necessarie per la creazione del tasso soglia, disponga che il TEG debba essere comprensivo delle commissioni, remunerazioni e spese a qualunque titolo e degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari, là dove, dunque, il termine “interessi” è formulato genericamente, senza espressa eslusione di quelli moratori.
Se poi si considera, che la norma di interpretazione autentica della legge 108, più volte qui richiamata, recita che “si intendono usurari gli interessi che superano i limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo” , allora appare chiaro che la volontà del legislatore sia stata proprio quella di inserire gli interessi di mora tra gli oneri da considerarsi al fine della verifica di usurarietà del mutuo.
Particolare attenzione, sempre a parere di chi scrive, va prestata, infatti, alla volontà del legislatore, così come emerge dalla legge e dai lavori preparatori, e ciò in ossequio all’art. 12 delle preleggi: “Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dall’intenzione del legislatore. Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato”.
In punto interpretazione della legge, è noto come, benché la norma dell’art. 12 delle Preleggi anteponga l’interpretazione “letterale” a quella “secondo lo spirito della legge”, la dottrina abbia via via dato maggior risalto all’interpretazione allineata alla volontà del legislatore.
Non solo; le decisioni della magistratura vanno oggi sempre più nella direzione di un’interpretazione costituzionalmente orientata.
In argomento, allora, lo scrivente ritiene che, da un lato l’art.1 del D.L. 29 dicembre 2000 n. 394 – Legge 28 febbraio 2001 n. 24 interpretato in senso letterale, fughi ogni dubbio sulla cumulabilità degli interessi corrispettivi e di mora ai fini della verifica dell’usura, dall’altro che l’interpretazione secondo la volontà del legislatore confermi ulteriormente la tesi fatta propria dalla Cassazione; ciò tenuto conto che è stata da sempre espressa volontà dell’autore della legge di impedire che il cumulo di spese, balzelli ed interessi di diversa natura richiesti dal mutuante, venissero a gravare sproporzionatamente sul cittadino che accede al credito.
Che la volontà del legislatore sia stata proprio quella di cumulare ogni sorta di spesa e di interesse pattuito lo attesta in modo incontrovertibile il testo della relazione governativa di presentazione al Parlamento del Decreto Legge 394/2000, convertito poi in Legge 28 febbraio 2001 n. 24, nel quale si legge “L’articolato fornisce al comma 1 l’interpretazione autentica dell’art. 644 C.P. e dell’art. 1815 comma secondo C.C.,. Viene chiarito che quando in un contratto di prestito sia convenuto il tasso di interesse (sia esso corrispettivo, compensativo o moratorio) il momento al quale riferirsi per verificare l’eventuale usurarietà sotto il profilo sia penale che civile è quello della conclusione del contratto a nulla rilevando il pagamento degli interessi” .
Peraltro la tutela della legge, espressa in questi termini di salvaguardia del cittadino e del consumatore nei confronti anche dei poteri forti, si armonizza perfettamente con l’art. 47 della Costituzione “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito. Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione ..”
Infine, ed a conclusione di quanto sin qui affermato, va osservato, che la discrasia tra le rilevazioni del TEG attuate dal Ministero del Tesoro su parere della Banca di Italia ed il dettato normativo della Legge 108/96 e 24/01, non deve e non può comportare la disapplicazione della legge stessa.
Anzi, le modalità di rilevazione devono allinearsi al dettato normativo, così come interpretato dalla Corte di Cassazione nella propria funzione nomofilattica; infatti, come è stato affermato da altri commentatori, sicuramente più autorevoli di chi scrive, sono i criteri di verifica che devono uniformarsi alla 108/96 e non viceversa .
Luigi Riccio