Affidamento di un bambino alla madre separata che convive con un’altra donna a cui è legata da una relazione omosessuale

La Corte di Cassazione, confermando quanto deciso dalla Corte di Appello di Brescia, ha ritenuto di confermare l’affidamento del figlio minore alla madre convivente con altra donna, a fronte del comportamento pregiudizievole del padre. Per la Suprema Corte il rapporto di convivenza omosessuale della madre non costituisce di per sè pregiudizio per il minore.

Si legga in punto la illuminante motivazione della sentenza.

3. – Con il terzo motivo di ricorso, denunciando violazione degli artt. 342 e 155 bis c.c., si censura la statuizione d’inammissibilità del secondo motivo di appello, osservando che con quel motivo si era lamentato che il Tribunale non aveva approfondito, come richiesto dal servizio sociale, se la famiglia in cui è inserita il minore, composta da due donne legate da una relazione omosessuale, fosse idonea sotto il profilo educativo a garantire l’equilibrato sviluppo del bambino, «in relazione ai diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio di cui all’art. 29 della Costituzione, alla equiparazione dei figli nati fuori dal matrimonio con i figli legittimi di cui all’art. 30 della Costituzione e al diritto fondamentale del minore di essere educato secondo i principi educativi e religiosi di entrambi i genitori. Fatto questo che non poteva prescindere dal contesto religioso e culturale del padre, di religione musulmana».

3. – Il motivo è inammissibile, perché il ricorrente si limita a fornire una sintesi del motivo di gravame in questione, dalla quale, invero, non risulta alcuna specificazione delle ripercussioni negative, sul piano educativo e della crescita del bambino, dell’ambiente familiare in cui questi viveva presso la madre: specificazione la cui mancanza era stata appunto stigmatizzata dai giudici di appello. Né il ricorrente spiega altrimenti perché sarebbe errata la statuizione di quei giudici d’inammissibilità della censura per genericità, essendo a sua volta generico e non concludente anche l’accenno ai principi costituzionali di cui sopra.

Alla base della doglianza del ricorrente non sono poste certezze scientifiche o dati di esperienza, bensì il mero pregiudizio che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale. In tal modo si dà per scontato ciò che invece è da dimostrare, ossia la dannosità di quel contesto familiare per il bambino, che dunque correttamente la Corte d’appello ha preteso fosse specificamente argomentata.