Cassazione civile, sez. III, 15/01/2013, n. 798

mutui e usuraNel caso di azione giudiziaria esperita dal correntista  nei confronti di una banca, volta ad ottenere la ripetizione delle some indebitamente richieste a titolo di interessi non dovuti, il correntista deve dare la prova di aver pagato, attraverso versamenti solutori, gli interessi richiesti, ciò avviene certamente quando al termine del rapporto la banca chiede il rientro al correntista al fine di portare il saldo finale a zero.

In difetto di tale prova il correntista non può richiedere la ripetizione dell’indebito ma il ripianamento del conto corrente attraverso la rettifica del saldo finale.

“L’annotazione in conto di una posta di interessi (o di commissione massimo scoperto) illegittimamente addebitati dalla banca al correntista comporta un incremento del debito dello stesso correntista, o una riduzione del credito di cui egli ancora dispone, ma in nessun modo si risolve in un pagamento, nel senso che non vi corrisponde alcuna attività solutoria in favore della banca; con la conseguenza che il correntista potrà agire per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell’addebito si basa, allo scopo eventualmente di recuperare una maggiore disponibilità di credito, nei limiti del fido accordatogli, ma non potrà agire por la ripetizione di un pagamento che, in quanto tale, da parte sua non ha ancora avuto luogo. Di pagamento, nella descritta situazione, potrà dunque parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia esatto dal correntista la restituzione del saldo finale, nel computo del quale risultino compresi interessi non dovuti e, perciò, da restituire se corrisposti dal cliente all’atto della chiusura del conto.”