Nel giorno della commemorazione della RESISTEANZA al nazifascismo credo sia giusto piangere Elin Bolek e Mustafà Kocak.

Dico piangere non a caso; perché si commemora un episodio del passato, si piange invece per una perdita appena avvenuta, per un’ingiustizia attuale, per una ferita ancora sanguinante.

Sono morti entrambi in primavera, ad aprile di quest’anno, nella primavera della loro luminosa esistenza.  “Gli eroi sono tutti giovani e belli”, canta Francesco Guccini, e loro sono belli, magnifici eroi di una ribellione silenziosa, priva di retorica e di violenza.

Si sono lasciati morire di fame per protestare contro la feroce dittatura di Erdogan.

La loro colpa è stata quella di essere artisti, componenti di un gruppo musicale di ispirazione socialista internazionalista, il Group Yorum.

Il Gruppo Yorum è stato fondato nel lontano 1985, i suoi ideatori si erano ispirati agli Inti-Illimani dei primi anni del 1980, suonano musica impegnata di genere popolare e folk, definita Halk Müziği.

Sono famosi non solo in Turchia, hanno pubblicato venticinque album tra il 1985 ad oggi e si sono esibiti in molti paesi europei, tra cui l’Italia.

Ora sono perseguitati da Erdogan, molti di loro imprigionati, torturati, condannati senza prove materiali nel contesto di una epurazione politica riconosciuta da tutti i paesi cosiddetti democratici, ma condannata solo sommessamente per via dei forti interessi strategico-economici che consigliano il mantenimento di buoni rapporti diplomatici con Ancara.

Il prigioniero politico Mustafa Kocak, condannato all’ergastolo per una presunta azione terroristica sulla sola base della delazione di un informatore della polizia (che ha poi ritrattato), rinchiuso nel carcere di isolamento di Sakran, ha iniziato lo sciopero della fame a oltranza il 3 luglio 2019, per protestare contro l’ingiustizia della sua prigionia ed il sistema giudiziario del regime. Ieri è spirato, mentre i suoi genitori e sua sorella, vestiti con un sudario, la foto del loro congiunto tra le mani, chiedevano attenzione e giustizia in piazza Taksim a Istambul. Una piazza ormai tristemente nota per questo genere di straziante protesta.

La morte di Mustafà segue di poco quella di Elin Bolek, cantautrice e membro del Gruppo Yorum.

Elin non era in prigione, ma la sua anima lo era, perché la dittatura è prima di tutto una prigione spirituale che rinchiude, senza mura, chi è assetato di giustizia; tanto più dura da sopportare quanto più si è giovani.

Elin protestava offrendo alla consunzione il suo corpo, per ottenere la scarcerazione dei membri del suo gruppo musicale in stato di detenzione, l’annullamento del mandato di cattura di quelli non ancora incarcerati, e l’annullamento del divieto di esibizione per il gruppo.

Dopo 288 giorni di sciopero si è lasciata morire, opponendosi alla alimentazione forzata che il regime le voleva imporle.  

Al suo funerale, che ha visto l’incursione della polizia e l’arresto del conducente del carro funebre, in carrozzina, curvo sulla sua bara, un alto predestinato dalla morte, Ibrahim Gökçek, il bassista del gruppo, da tempo anch’ egli in sciopero.

Non dimentichiamoli, ricordiamoci sempre i loro nomi, visto che le testate giornalistiche più importanti pare li ignorino, e soprattutto non scordiamoci dei numerosi altri prigionieri politici attualmente in sciopero della fame, tra i quali alcuni avvocati, rei di avere difeso i loro assistiti dall’ ingiustizia e dal sopruso giudiziario.

Luigi Riccio