La terza sezione della Cassazione con la richiamata decisione ha affrontato in modo ampio ed articolato il tema della personalizzazione del risarcimento del danno non patrimoniale.
Il caso preso in esame dai giudici di merito è quello di un danneggiato al quale in primo grado il tribunale aveva riconosciuto un aumento del punto tabellare di danno biologico del 25% a titolo di personalizzazione; era infatti stato accertato a carico dello stesso un “grave e permanente danno dinamico-relazionale”. Il danno di natura “dinamico relazione era dovuto alla circostanza che la vittima aveva dovuto rinunciare, a causa dei postumi residuati all’infortunio, alla cura dell’orto e del vigneto cui era solito in precedenza attendere. Tuttavia, in secondo grado, la corte di appello aveva riformato la sentenza, ritenendo che tale pregiudizio fosse compreso nel danno biologico e che, pertanto, il danneggiato non avesse diritto ad un incremento della misura base del risarcimento.
La Cassazione ha confermato la decisione della corte di appello cogliendo l’occasione per elaborare una sorta di linea guida del danno non patrimoniale .
Afferma la Corte: “La lesione della salute risarcibile in null’altro consiste che nella compromissione delle abilità della vittima nello svolgimento delle attività quotidiane tutte, nessuna esclusa: dal fare, all’essere, all’apparire. Quindi non è che il danno alla salute “comprenda” pregiudizi dinamico-relazionali, ma piuttosto il danno alla salute è un danno “dinamico-relazionale” .
Partendo da questa premessa, quanto al danno dinamico – relazionale, il giudice di legittimità stabilisce tre punti fermi:
- L’incidenza d’una menomazione permanente sulle quotidiane attività “dinamico-relazionali” della vittima non è affatto un danno diverso dal danno biologico.
- L’incidenza d’una menomazione permanente sulle quotidiane attività “dinamico-relazionali” della vittima non è affatto un danno diverso dal danno biologico.
- Una lesione della salute può avere le conseguenze dannose più diverse, ma tutte inquadrabili teoricamente in due gruppi: A) conseguenze necessariamente comuni a tutte le persone che dovessero patire quel particolare tipo di invalidità; B) conseguenze peculiari del caso concreto, che abbiano reso il pregiudizio patito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi consimili.
Quindi, conclude la Corte, solo le conseguenze straordinarie e non ordinarie giustificano una valutazione ulteriore rispetto a quella già offerta dalle tabelle dell’invalidità permanente [1] .
La Corte, dopo aver definito cosa si debba intendere per “danno dinamico relazionale” e quale debba essere la sua portata ai fini della eventuale “personalizzazione” del complessivo danno non patrimoniale, chiarisce ulteriormente proponendo un vero e proprio DECALOGO DEL DANNO NON PATRIMONIALE ad uso e consumo dei giudici e degli operatori del diritto:
1) l’ordinamento prevede e disciplina soltanto due categorie di danni: quello patrimoniale e quello non patrimoniale.
2) Il danno non patrimoniale (come quello patrimoniale) costituisce una categoria giuridicamente (anche se non fenomeno logicamente) unitaria.
3) “Categoria unitaria” vuol dire che qualsiasi pregiudizio non patrimoniale sarà soggetto alle medesime regole e ad i medesimi criteri risarcitori (artt. 1223,1226,2056,2059 c.c.).
4) Nella liquidazione del danno non patrimoniale il giudice deve, da un lato, prendere in esame tutte le conseguenze dannose dell’illecito; e dall’altro evitare di attribuire nomi diversi a pregiudizi identici.
5) In sede istruttoria, il giudice deve procedere ad un articolato e approfondito accertamento, in concreto e non in astratto, dell’effettiva sussistenza dei pregiudizi affermati (o negati) dalle parti, all’uopo dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, opportunamente accertando in special modo se, come e quanto sia mutata la condizione della vittima rispetto alla vita condotta prima del fatto illecito; utilizzando anche, ma senza rifugiarvisi aprioristicamente, il fatto notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, e senza procedere ad alcun automatismo risarcitorio.
6) In presenza d’un danno permanente alla salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d’una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e l’attribuzione d’una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale: ovvero il danno dinamico-relazionale).
7) In presenza d’un danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema c.d. del punto variabile) può essere aumentata solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale ed affatto peculiari. Le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l’id quod plerumque accidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento.
8) In presenza d’un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d’una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e d’una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perchè non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sè, la paura, la disperazione).
9) Ove sia correttamente dedotta ed adeguatamente provata l’esistenza d’uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione (come è confermato, oggi, dal testo degli artt. 138 e 139 cod. ass., così come modificati della L. 4 agosto 2017, n. 124, art. 1, comma 17, nella parte in cui, sotto l’unitaria definizione di “danno non patrimoniale”, distinguono il danno dinamico relazionale causato dalle lesioni da quello “morale”).
10) Il danno non patrimoniale non derivante da una lesione della salute, ma conseguente alla lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati, va liquidato, non diversamente che nel caso di danno biologico, tenendo conto tanto dei pregiudizi patiti dalla vittima nella relazione con se stessa (la sofferenza interiore e il sentimento di afflizione in tutte le sue possibili forme, id est il danno morale interiore), quanto di quelli relativi alla dimensione dinamico-relazionale della vita del soggetto leso. Nell’uno come nell’altro caso, senza automatismi risarcitori e dopo accurata ed approfondita istruttoria.
§§§
Le indicazioni di cui al decalogo sono riassuntive del pensiero della Corte in ordine alla natura e risarcibilità del danno non patrimoniale dalla stessa già illustrato in altre sentenze, i principi sono quelli della unitarietà del danno e del divieto di duplicazione delle voci di risarcimento .
In punto si richiama Cass. civ. n. 10912/2018 (est. Rossetti)[2] ove la Corte riafferma l’unitarietà del danno non patrimoniale, rilevando comunque che il pregiudizio alla salute si può manifestare diversamente da soggetto a soggetto, così che sarà compito del giudice apprezzare la sussistenza di particolarità del caso concreto, che giustifichino una variazione rispetto al criterio liquidatorio standard .
Ancora si veda Cass. civ. n. 11754/2018 (est. Vincenti) ove si prende atto che nelle tabelle del danno biologico è già compresa la componente della sofferenza soggettiva (danno morale) da intendersi come standard, “spetta al giudice far emergere e valorizzare (…) specifiche circostanze di fatto, peculiari al caso sottoposto ad esame, che valgano a superare le conseguenze “ordinarie” già previste e compensate dalla liquidazione forfettizzata assicurata dalle previsione tabellari; da quest’ultime distinguendosi siccome legate alla irripetibile singolarità dell’esperienza di vita individuale nella specie considerata, caratterizzata da aspetti legati alle dinamiche emotive della vita interiore o all’uso del corpo e alla valorizzazione dei relativi aspetti funzionali…».
Chi scrive ritiene che il ragionamento della Terza Sezione sia sicuramente convincente quanto ai profili teorici che sottendono la materia; tuttavia rimangono non poche difficoltà per l’interprete nell’ individuare, in relazione al singolo caso, quando le conseguenze dannose siano anomale e peculiari rispetto alla pluralità dei casi.
Se si dovesse infatti riconoscere la personalizzazione del danno quando il danneggiato svolga attività ludiche, sportive, ricreative, culturali del tutto eccezionali rispetto la media della popolazione, assai raramente si potrebbe incrementare il risarcimento oltre i baremes standard.
Invero la menomazione della salute ha effetti diversi da soggetto a soggetto a seconda delle diverse situazioni e condizioni individuali, tra queste l’età, il sesso, la situazione socio economica e culturale ecc.; tutti elementi che contribuiscono a diversificare l’incidenza della lesione sulle abitudini di vita del danneggiato e sugli aspetti relazionali futuri.
Gli esempi possono essere molteplici ed attengono alla casistica umana e processuale.
Non sarebbe allora giusto, ed in linea con il principio del risarcimento integrale del danno, se, nel caso della medesima percentuale di invalidità, si liquidasse allo stesso modo chi pratica abitualmente, ma per puro piacere personale, il ciclismo, rispetto a chi conduca una vita sedentaria priva di interessi o hobby. Anche in questo caso non si può certo sostenere che andare assiduamente in bicicletta sia fatto eccezionale, soprattutto se l’eccezionalità la si misuri in termini statistici.
Tuttavia, quello che sosteniamo è che, se si applicasse in modo miope il paragrafo 7 del decalogo, certamente in caso di grave lesione del menisco, il danno patito da chi conduce una vita sedentaria e quello subito da chi la trascorre correndo in bici per le strade del mondo, sarebbe trattato allo stesso modo. Ciò in quanto è evidente che una seria lesione al menisco impedisce a chiunque di andare in bici (così che il non poterci andare non sarebbe una conseguenza dannosa del tutto anomala). Tuttavia giova richiamare la già citata sentenza Cass. civ. n. 10912/2018, ove la Cassazione afferma che il giudice, nel valutare le conseguenze di una lesione e quindi il risarcimento, deve tenere conto nel caso specifico delle “dinamiche relative all’uso del corpo e alla valorizzazione dei relativi aspetti funzionali”, così che se i danneggiato non può più condurre una vita sportiva dovrà essere ristorato di detta perdita anche oltre i baremes.
Spetterà quindi sempre alla sensibilità del giudice, la valutazione dell’incidenza negativa delle lesioni invalidanti sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato; detta valutazione dovrà essere compiuta, sulla base delle risultanze istruttorie, tenendo conto del monito della cassazione, ma alla stregua del principio fondamentale, secondo il quale il risarcimento deve riparare in termini pecuniari tutti i danni patiti dalla vittima, ovvero tutte le conseguenze dannose dell’illecito, sia pure in una visione liquidatoria unitaria .
______________________
[1] “Pertanto la perduta possibilità di continuare a svolgere una qualsiasi attività, in conseguenza d’una lesione della salute, non esce dall’alternativa: o è una conseguenza “normale” del danno (cioè indefettibile per tutti i soggetti che abbiano patito una menomazione identica), ed allora si terrà per pagata con la liquidazione del danno biologico; ovvero è una conseguenza peculiare, ed allora dovrà essere risarcita, adeguatamente aumentando la stima del danno biologico (c.d. “personalizzazione”: così già Sez. 3, Sentenza n. 17219 del 29.7.2014)”.
[2] “il danno non patrimoniale è una categoria unitaria ed omnicomprensiva. (…) Il pregiudizio non patrimoniale causato da una lesione della salute può manifestarsi in modi diversi: può consistere nella forzosa rinuncia ad attività quotidiane; può consistere nel dolore fisico; può consistere nella sofferenza morale. Purtuttavia, quali che siano le forme di manifestazione dei pregiudizi non patrimoniali, essi hanno tutti identica natura. La natura omogenea dei pregiudizi non patrimoniali non vuol dire che, una volta trasformato in denaro il grado di invalidità permanente col sistema c.d. “a punto”, la vittima abbia ottenuto tutto quel che le spetta: il valore monetario del punto di invalidità infatti è solo una misura standard, che lascia libero il giudice di apprezzare la sussistenza di particolarità del caso concreto, che ne giustifichino una variazione. D’altro canto, però, non è certo sufficiente chiamare pregiudizi identici con nomi diversi, per poterne predicare la contemporanea risarcibilità (ex multis, Sez. VI – III, ord. n. 8895 del 4.5.2016). (…) Secondo: non è consentito chiamare pregiudizi identici con nomi diversi, per pretenderne una doppia valutazione e liquidazione (…)».