Il costo delle polizze di assicurazione sottoscritte dal cliente in occasione della stipula di un contratto di finanziamento chirografario o ipotecario, a norma lella Legge 108/1996, dell’art. 644 C.P. e del TUB, assume particolare rilievo al fine della verifica della correttezza del TEG e dell’ISC (TAEG) contrattualmente indicato dall’istituto di credito.

L’incidenza di detti costi rileva, dunque, sia per quanto attiene il controllo dell’eventuale superamento del tasso soglia d’usura da parte degli interessi corrispettivi del finanziamento, sia in relazione alla corretta determinazione dei costi complessivi del contratto (trasparenza) che il mutuatario ha il diritto di conoscere preventivamente alla stipula.

Quanto all’usurarietà dei mutui, il cui TEG sia stato calcolato ed indicato dalla banca senza tenere conto dei costi delle polizze facoltative, è di particolare importanza la recente sentenza della Suprema Corte in commento.

La Corte non ha affrontato l’argomento della legittimità delle istruzioni della Banca d’Italia sul rilevamento del TEGM quando queste siano in contrasto con il dettato normativo della L.108/96 e dell’art. 640 CP,  questione  dibattuta ampiamente dalla giurisprudenza di merito.

Il Collegio ha aggirato l’ostacolo, con discreto “savoir faire”, affermando che dall’attenta lettura delle istruzioni di Banca d’Italia del 2001 e del 2009 si  desume che le spese per premi di assicurazione, anche relativi alle polizze facoltative, devono essere ricomprese nel TEG, essendo sufficiente che la spesa risulti collegata all’operazione di credito. A parere della Corte, dunque, le istruzioni di Banca d’Italia non si discosterebbero dal dettato normativo in tema di usura.

Alla luce della sentenza in commento, in relazione ai mutui ipotecari ed al credito al consumo, perdono rilievo le decisioni dell’ABF, che in punto usurarietà differenziavano le loro motivazioni a seconda che il contratto fosse stato stipulato o meno dopo il dicembre 2009, ritenendo che prima delle nuove istruzioni di Banca d’Italia i premi delle polizze così dette “facoltative” non potessero essere inseriti nel TEG .

La Corte ha censurato quindi la decisione della Corte di Appello di Napoli, che aveva anch’essa operato tale distinzione sulla base di una errata interpretazione delle istruzioni di Banca d’Italia del 2001, le quali già prevedevano l’inclusione nel TEG delle polizze imposte dal creditore (banca) per assicurargli il rimborso del credito.

Dice la Cassazione: “un’interpretazione di tale nuova formula in termini di “rottura” rispetto a quelli precedenti, com’è propugnata dalla Corte napoletana, sembra per la verità attingere a margini di non agevole spiegazione. Del tutto ragionevole appare, invece, opinare che con la nuova formula la Banca d’Italia abbia inteso esplicitare con più chiare parole quanto già in precedenza sostanzialmente inteso: a dissipare ogni eventuale dubbio ipoteticamente presente nell’operatività.”

Il principio di diritto enunciato da Giudice di legittimità è dunque il seguente:

In relazione alla ricomprensione di una spesa di assicurazione nell’ambito delle voci economiche rilevanti per il riscontro dell’eventuale usurarietà di un contratto di credito, è necessario e sufficiente che la detta spesa risulti collegata all’operazione di credito. La sussistenza del collegamento, se può essere dimostrata con qualunque mezzo di prova, risulta presunta nel caso di contestualità tra la spesa e l’erogazione ”

Come già accennato, non è stata  affrontata dal Giudice di legittimità la questione dell’inclusione nel TEG dei premi assicurativi pagati dal consumatore per la conclusione di un finanziamento con cessione del quinto dello stipendio, che Banca d’Italia nelle proprie istruzioni in vigore sino a dicembre 2009  escludeva, contravvenendo, a parere di molti, al dettato normativo dell’art. 644 CP (L. 108/1996), il quale non opera differenziazioni tra tipologie di finanziamento o di costi (come quelli assicurativi  previsti normativamente nei contratti con cessione del quinto dello stipendio – art. 54 del DPR 180/1950 – ).

Buona parte della giurisprudenza, proprio in tema di “quinto dello stipendio”, ha sinora ritenuto che le istruzioni dell’ente di controllo delle banca vadano disattese quando si pongano in contrasto con la norma legale: Cass. Penale 46669 / 2011 [1] – Corte d’Appello di Torino il 20.12.2013 [2] – Corte di Appello Milano, 14 marzo 2014, conforme Corte di Appello Milano 17 luglio 2013 [3].

Da segnalare in argomento la recente sentenza del Tribunale di Torino VI sez. civ., dott. Astuni,  17 novembre 2016, decisione, ad avviso di chi scrive, assai convincente per chiarezza espositiva e logicità argomentativa.

Il Tribunale conferma l’assunto secondo il quale le disposizioni di Banca d’Italia non hanno valore di legge e vanno disattese qualora non siano conformi all’art. 644 CP il quale, lo si ripete, dispone che “per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito”, quindi, indubbiamente, anche i premi delle polizze assicurative.

Osserva il Tribunale, quanto all’inserimento nel TEG dei premi di assicurazione, che la norma dell’art. 644 CP non è una norma incompleta che contiene una delega ad una norma secondaria per l’individuazione di voci di costo da inserire nel calcolo del TEG,  ciò in quanto il nucleo della incriminazione è descritto in modo compiuto nella norma penale, senza alcun rinvio.

L’articolo 644 CP non  delega dunque la fonte ministeriale ad individuare le voci di costo da inserire nel calcolo, in quanto le definisce esso stesso; la norma penale delega invece al Ministero, attraverso la rilevazione della Banca d’Italia,  la sola indicazione trimestrale del tasso soglia.   Quindi, conclude il Tribunale, le istruzioni di Banca d’Italia hanno funzione diversa e non possono costituire lo strumento di verifica del superamento del tasso soglia.

Per completezza occorre da ultimo segnalare la sentenza di segno opposto del Giudice di legittimità (Cassazione civile, sez. I, 22/06/2016, n. 12965) che ha affrontato la questione dell’esclusione dal TEG delle commissioni di massimo scoperto da parte di  Banca d’Italia,  prima delle nuove istruzioni di dicembre 2009.

La Suprema Corte, discostandosi dalla giurisprudenza della stessa Cassazione Penale ha asserito che, per quanto detta esclusione possa essere considerata illegittima,  per contrarietà alle norme primarie regolanti la materia, secondo le argomentazioni della giurisprudenza penalistica, “questo non potrebbe in alcun modo tradursi nella possibilità, per l’interprete, di prescindervi, ove sia in gioco – in una unitaria dimensione afflittiva della libertà contrattuale ed economica – l’applicazione delle sanzioni penali e civili, derivanti dalla fattispecie della cd. usura presunta, dovendosi allora ritenere radicalmente inapplicabile la disciplina antiusura per difetto dei tassi soglia rilevati dall’amministrazione” [4].

A sommesso parere di chi scrive, l’assunto non convince, infatti, come lucidamente espresso dalla motivazione della richiamata sentenza del Tribunale di Torino, ove le istruzioni di Banca d’Italia siano contra legem devono essere disattese. La norma penale è infatti norma primaria rispetto ai decreti ministeriali che impongono alle banche di attenersi alle istruzioni di Baca d’Italia.

___________________________________________________________________________________________________________

[1] “Le circolari e le istruzioni della Banca d’Italia non rappresentano una fonte di diritti ed obblighi e nella ipotesi in cui gli istituti bancari si conformino ad una erronea interpretazione fornita dalla Banca d’Italia in una circolare, non può essere esclusa la sussistenza del reato sotto il profilo dell’elemento oggettivo. Le circolari o direttive, ove illegittime e in violazione di legge, non hanno efficacia vincolante per gli istituti bancari sottoposti alla vigilanza della Banca d’Italia, neppure quale mezzo di interpretazione, trattandosi di questione nota nell’ambiente del commercio che non presenta in se particolari difficoltà, stante anche la qualificazione soggettiva degli organi bancari e la disponibilità di strumenti di verifica da parte degli istituti di credito” Cass. Penale 46669 / 2011

[2] “Tanto premesso, il Tribunale ritiene che il chiaro tenore letterale dell’art. 644 C.P. comma 4 (secondo il quale per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse collegate alla erogazione del credito) impone di considerare rilevanti al fine della determinazione della fattispecie dell’usura, tutti gli oneri che l’utente sopporti in connessione con il suo  uso del credito, e ciò indipendentemente dalle istruzioni emanate dalla Banca d’Italia…… tra tali oneri rientra  anche il costo della polizza a garanzia del rischio vita del mutuatario, trattandosi di un costo indiscutibilmente collegato all’erogazione del credito ex art.644 C.P.”.   Corte d’Appello di Torino il 20.12.2013

[3] “Orbene la disposizione di cui all’art.644 c.p. (norma di carattere primario) prevede che nella determinazione del tasso di interesse usurario debba tenersi conto di tutte le spse collegale all’erogazione del credito, come si evince dalla contestualità tra la stipulazione della polizza e l’erogazione del credito……………..Priva di rilievo in senso contrario è la circostanza che la polizza tosse stata contratta per autonoma scelta del soggetto finanziato in quanto il dettato normativo non consente di porre alcuna distinzione tra l’ipotesi in cui la polizza sia obbligatoria e quella in cui sia facoltativa”.      “L’interpretazione dell’art.644 c.p. prescinde poi dalle interpretazione emanata dalla Banca d’ Italia  in quanto esse, non essendo fonti normative non hanno carattere vincolante per  l’autorità  giurisdizionale” . Corte di Appello Milano, 14 marzo 2014, conforme Corte di Appello Milano 17 luglio 2013

[4] “Pari persuasività, rilevante ai fini della decisione cui è chiamato il Collegio, va poi ascritta alla tesi che sostiene la necessità di utilizzare, nella rilevazione dei tassi usurari, dati tra loro effettivamente comparabili. Come osservato in dottrina, la fattispecie della cd. usura oggettiva (presunta), o in astratto, è integrata a seguito del mero superamento del tasso-soglia, che a sua volta viene ricavato mediante l’applicazione di uno spread sul TEGM; posto che il TEGM viene trimestralmente fissato dal Ministero dell’Economia sulla base delle rilevazioni della Banca d’Italia, a loro volta effettuate sulla scorta delle metodologie indicate nelle più volte richiamate Istruzioni, è ragionevole che debba attendersi simmetria tra la metodologia di calcolo del TEGM e quella di calcolo dello specifico TEG contrattuale. Il giudizio in punto di usurarietà si basa infatti, in tal caso, sul raffronto tra un dato concreto (lo specifico TEG applicato nell’ambito del contratto oggetto di contenzioso) e un dato astratto (il TEGM rilevato con riferimento alla tipologia di appartenenza del contratto in questione), sicchè – se detto raffronto non viene effettuato adoperando la medesima metodologia di calcolo – il dato che se ne ricava non può che essere in principio viziato. In definitiva, può sostenersi che quand’anche le rilevazioni effettuate dalla Banca d’Italia dovessero considerarsi inficiate da un profilo di illegittimità (per contrarietà alle norme primarie regolanti la materia, secondo le argomentazioni della giurisprudenza penalistica citata), questo non potrebbe in alcun modo tradursi nella possibilità, per l’interprete, di prescindervi, ove sia in gioco – in una unitaria dimensione afflittiva della libertà contrattuale ed economica – l’applicazione delle sanzioni penali e civili, derivanti dalla fattispecie della cd. usura presunta, dovendosi allora ritenere radicalmente inapplicabile la disciplina antiusura per difetto dei tassi soglia rilevati dall’amministrazione”