magia%20nera%20magritt[1]In materia di mutui usurari la esigua giurisprudenza autunnale è sicuramente più favorevole alle banche.

Con sentenza del 15 ottobre 2014, il Tribunale Venezia ha aderito a quella impostazione giurisprudenziale secondo cui, in presenza di superamento del tasso soglia da parte del solo tasso di interesse di mora,  le conseguenze previste dall’art. 1815 C.C. non comportano la nullità di tutti gli interessi pattuiti.   L’impostazione è nota ed è la stessa recentemente assunta del Tribunale di Napoli e di Salerno (Tribunale Napoli 15 settembre 2014).

Si tratta, a sommesso parere dello scrivente, di un’interpretazione restrittiva degli effetti civilistici dell’usura, desunti da una lettura  un po’ miope della norma dell’art. 1815 C.C..

Il Tribunale di Venezia, esaminando un caso in cui il tasso degli interessi moratori era usurario, in quanto la maggiorazione del 3% del tasso dei corrispettivi portava la mora oltre la soglia di usura, richiama espressamente il dettato letterale dell’art.1815 C.C. (“se sono pattuiti interessi usurari la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”) sostenendo che gli interessi non dovuti siano esclusivamente quelli previsti dalla clausola annullata (quella di previsione della mora per ritardato pagamento).

La costruzione, sotto il profilo dell’analisi logica grammaticale, appare di primo acchito corretta, anche se è possibile dare dell’art. 1815 una diversa interpretazione, dal più ampio respiro,  più convergente con la volontà del legislatore.

Infatti, utilizzando  lo strumento dell’art. 12 delle Preleggi,  la norma sanzionatoria va analizzata attraverso l’integrale  lettura (quasi tutta di un fiato) dell’articolo che la contiene, in quanto il primo comma è la premessa del secondo.

In questi termini apparirà chiaro che, mentre la prima parte della norma fa obbligo al mutuatario di corrispondere gli interessi al mutuante,  il secondo comma stabilisce  che, in presenza di una clausola usuraria da dichiararsi nulla, non sono dovuti proprio quegli interessi che al primo comma sono espressione del sinallagma contrattuale.

Tale interpretazione si attaglia perfettamente alla volontà del legislatore il quale, nei lavori preparatori della legge 108/96, chiarisce come ogni tipo di  costo  e onere deve restare sotto il tasso soglia, a pena della sanzione prevista dall’art.1815 C.C.

Ben si allinea questa lettura a quanto osservato in punto dal Tribunale di  Padova   (Trib. Padova 8/05/14 – 15/05/14),   il quale giustamente rileva, da un lato come l’art. 1815 C.C. non faccia alcuna distinzione tra interessi corrispettivi e di mora, dall’altro come gli stessi interessi di mora siano quasi sempre formati dai corrispettivi più lo spread, così che appare corretto il richiamo ad una lettura unitaria degli interessi del mutuo.  Lettura unitaria già presa in esame positivamente da parte della dottrina.

Nell’ottica di una visione unitaria degli interessi, la trasformazione  del mutuo da oneroso a gratuito, per effetto dell’usurarietà dei soli tassi di mora, appare conforme allo spirito della legge.

Va poi svolta, a parere di chi scrive, un’ulteriore osservazione.

Se è pur vero che gli effetti civilistici dell’usura,  e quindi la  condanna alla ripetizione dell’indebito,  prescindono dalla condanna  penale dell’usuraio, dovendosi in quella sede tenere conto anche dell’elemento soggettivo del reato, senza il quale non può esservi sanzione penale, tuttavia sembra palesemente ingiusto che, a contrario, a seguito della intervenuta condanna per usura del dirigente bancario, non vi debbano essere conseguenze civilistiche a favore della parte lesa in forza di una lettura asfittica dell’art. 1815 C.C.

Nel caso di interpretazione restrittiva della norma, il mutuatario che denuncia la banca per usurarietà degli interessi di mora al momento della pattuizione, pur assistendo alla condanna del funzionario, non si gioverebbe della legge 108/96, potendo, tuttalpiù, intentare una causa per risarcimento danni non patrimoniali.   A meno che, naturalmente, essendo stato effettivamente in ritardo con il pagamento delle rate,  abbia interessi di mora da recuperare.

Rimarrebbe insomma frustrata la volontà del legislatore che ha inteso invece sanzionare la mera “pattuizione” degli interessi usurari, privando l’usurario delle proprie aspettative di guadagno.

La accennata discrasia tra applicazione della legge  civile e penale è tutt’altro che teorica, atteso che la giurisprudenza penale di merito si sta attestando proprio nel senso di considerare applicabile l’art. 644 CP qualora il saggio degli interessi   di mora superino autonomamente il tasso soglia.  In questo senso si veda l’ordinanza del Tribunale Penale di Torino del 10 giugno 2014 – Est. Marra, con la quale il GUP, preso atto che la Cassazione  non ha mai avuto dubbi nel computare gli interessi di mora al fine di verificare l’elemento oggettivo del reato di usura (Cass. Civ. 5324/2003 – Cass. Civ.350/2013 )  , ha rigettato la richiesta di archiviazione avanzata dal P.M. al fine della prosecuzione del giudizio .

Attendiamo allora nuovi sviluppi giurisprudenziali.

Avv. Luigi Riccio