Capita, a volte, leggendo un romanzo e soprattutto un autore sconosciuto,  di arrivare ad un certo punto della lettura e rammaricarsi di non aver conosciuto prima quell’autore e quel libro, nello stesso modo in cui ci dispiacciamo  di non aver conosciuto prima una donna o stretto prima un’amicizia .

Ecco;  questa sensazione di piacevole rammarico l’ho provata leggendo recentemente il libro di Azar Nafisi “Leggere Lolita a Teheran”; un libro bellissimo, commovente, intelligente, scritto in una bella prosa. Un libro da amare.    Il romanzo è autobiografico, la Nafisi laureatasi negli stati uniti in letteratura inglese e americana,  rientrata in Iran  nel 1979,  insegnerà letteratura inglese presso l’Università Allameh Tabatabai di Tehran sino al 1981, quando sarà espulsa per non voler sottostare all’imposizione del velo, stabilita dal regime islamico dell’ayatollah Khomeini. Rientrata in ruolo nel 1987 spinta dall’irrinunciabile desiderio di insegnare, di comunicare, si licenzierà nel 1995 essendo diventato per lei impossibile e pericoloso insegnare letteratura occidentale in un contesto di censura e violenza contro i dissenzienti, ovvero i liberi pensatori.

La professoressa Nafisi continuerà ad insegnare clandestinamente letteratura (Nabokov, Fitgerald, James e Austen), presso la propria abitazione ad un ristretto numero di studentesse, alle quali insegnerà a comprendere e giudicare il mondo attraverso la letteratura.

La  denuncia del bieco e retrivo totalitarismo del governo islamico dell’Iran e della condizione delle donne nei paesi islamici è straordinariamente forte ed efficace nel romanzo, perché il tema è trattato al  femminile, quindi con quella sensibilità per le piccole cose e gli attimi fuggenti tipica degli animi sensibili, quindi delle donne.

La voce narrante è quella dell’autrice ma il racconto non è monocorde, a dialogare sono anche le sue  sensibili ed intelligenti allieve: Sanaz,  Mahshid, Manna, Yassi , Nima, Mitra, Azin,  verso le quali il lettore non può che provare un sentimento di tenerezza e comprensione.

Le ragazze raccontano cose orribili spesso vissute in prima persona, la prigione, gli stupri, le esecuzioni, la lapidazione, un orrore da loro elaborato e indagato  con l’aiuto della letteratura e della  poesia. Esse raccontano anche piccoli episodi domestici,  esperienze familiari positive, espongono le loro letture, una di loro, Manna, scrive poesie. V’è in loro, al di là dei momenti di sconforto, una vitalità coraggiosa, un anelito di libertà, il desiderio di vivere la loro giovinezza comunque: frequentando di nascosto le lezioni del giovedì,  indossando abiti colorati sotto il velo nero, lasciando fuoriuscire una ciocca di capelli indomita e volutamente  impudica sotto il foulard, sfidando mentalmente, e con piccoli gesti, i “Guardiani della Morale” che a bordo delle loro Jeep bianche perlustrano la città alla ricerca dell’immoralità.

E che paura fanno queste ragazze minute e fragili alla rivoluzione di Khomeini!  E’ Nafisi stessa a dircelo: “in che costante timore delle donne devono vivere gli ayatollah!”

Anche la lettura e l’interpretazione dei romanzi che la Nafisi propone ai suoi allievi è squisitamente “al femminile”. Si veda in punto l’intelligentissimo commento al romanzo Lolita. “Per alcuni commentatori, ci spiega l’autrice,  Lolita è perversa, smorfiosa, superficiale tanto da rendere meno grave lo stupro che subisce, per altri la vicenda è una grande storia d’amore,  altri ancora condannano Nabokov  perché avrebbe trasformato lo stupro di una dodicenne in  una esperienza estetica”.  Per Nafisi e le sue ragazze il romanzo rappresenta un’altra cosa: la mistificazione.

Lolita è infatti un romanzo confessione, è il memoriale scritto da Humbert dal carcere, “Humbert sfrutta al massimo la propria abilità e astuzia per portare dalla sua il lettore, in vista del crimine più nefando: il primo tentativo di possedere Lolita. Cerca la nostra complicità trattandoci come appartenenti alla sua stessa categoria, quella dei fieri avversari della cultura consumistica. Descrive Lolita come una persona volgare e bisbetica, una ragazzina disgustosamente convenzionale…. e non è neppure la fragile bambina di un romanzo rosa. Come i migliori avvocati difensori che ci affascinano con la retorica e fanno appello al più alto senso della moralità, Humbert si scagiona chiamando a correo la propria vittima, uno stratagemma che avevo imparato a conoscere bene nella Repubblica democratica dell’Iran (-Noi non siamo contro il cinema – dichiarò una volta l’ayatollah Khomeini mentre i suoi scagnozzi incendiavano le sale – noi siamo contro la prostituzione)“.

A prescindere dall’amore per Nabokov, non è a caso la Nafisi tratta il tema della pubertà violata di Lolita e della mistificazione dello stupro  in un contesto culturale ove, grazie alla illuminata interpretazione del Corano  da parte di  Komeini, per le donne Iraniane, dopo la rivoluzione del ’79, l’età minima per sposarsi passa da tredici a nove anni.

Un altro motivo ricorrente nel romanzo, speso espresso con sentimento di nostalgia,  è quello della  progressiva perdita dei diritti civili di cui godevano gli iraniani sotto lo Scià, e quindi del fallimento di una rivoluzione che sembrava indirizzata ad una maggiore democratizzazione del paese  .

La Nafisi si esprime in argomento con toni poeticamente nostalgici,  più volte affliggendosi per le sue ragazze “ La principale differenza tra queste ragazze e quelle della mia generazione era che noi sentivamo di aver perduto qualcosa e ci lamentavamo del vuoto ce si era creato nella nostra vita quando ci avevano rubato i passato trasformandoci in esuli nel nostro paese Ma se non altro avevamo un passato da paragonare al presente, avevamo ricordi  e immagini di ciò che ci era stato portato via. Le mie ragazze invece parlavano sempre di baci rubati, di film che non avevano mai visto e del vento che non avevano mai sentito sulla pelle. I loro ricordi erano fatti di desideri irrealizzati, di cose che non avevano mai avuto. E questa mancanza questo struggimento per le cose più normali, conferiva alle loro parole una luce malinconica, vicina alla poesia”.  

In questo avvilimento del quotidiano, a fronte della compromissione degli aspetti più significativi delle dinamiche relazioni umane, ecco venire in soccorso la letteratura “nessuno riuscirebbe a sopravvivere al mondo che vogliono imporci loro, dobbiamo tutti inventarci un paradiso personale verso cui evadere”.

La letteratura e la poesia come rimedio, dunque, come salvezza dal male di vivere, come fuga dal presente, rifugio dalla violenza; ma non certo come resa. Ricorrere alla lettura non è mera evasione, non è indifferenza o ignavia, anzi, la lettura assume sempre il compito di forgiare la coscienza critica e di creare i presupposti della ribellione morale all’ingiustizia ed ai soprusi. Non a caso il rogo dei libri rappresenta sempre la metodica  tipica di ogni totalitarismo.

Luigi R.