Con ordinanza del 2210/2019 la Prima sezione della Cassazione ha demandato al primo presidente della Corte stessa la valutazione della sussistenza dei presupposti per l’invio della causa alle Sezioni Unite, al fine dell’approfondimento della questione riguardante la riconducibilità degli interessi di mora nell’alveo della legge antiusura.
In punto sussiste infatti divergenza in dottrina ed in giurisprudenza.
Nel prospettare dette divergenze, l’ordinanza in questione riassume le diverse posizioni interpretative della giurisprudenza. La Corte enumera gli argomenti a favore del raffronto del tasso di mora con il TSU (tasso soglia usura), ovvero:
- che l’art. 644 cod. pen. e l’art. 2 della legge n. 108 del 1996 non introducono alcuna distinzione tra interessi corrispettivi e moratori, parlando genericamente di «interessi», mentre l’art. 1 del d.l. n. 394 del 2000 impone di valutarne il carattere usurario al momento della pattuizione «a qualsiasi titolo»;
- che nella relazione di accompagnamento della legge n. 24 del 2001, di conversione del d.l. n. 394 del 2000, si afferma che la predetta espressione «a qualsiasi titolo», si riferiva a qualsiasi tipo di interesse, «sia esso corrispettivo, compensativo o moratorio».
- che si deve ritenere irrilevante la fonte legale o convenzionale degl’interessi, affermandosi che ai fini della misura degli stessi viene in rilievo esclusivamente la forma scritta della pattuizione, richiesta sia per i corrispettivi che per i moratori, in entrambi i casi a tutela del debitore. Rilevato che alle medesime finalità di tutela risponde anche la disciplina antiusura, si è evidenziato che l’esclusione dell’applicabilità della stessa agl’interessi moratori condurrebbe al risultato paradossale che per il credito10 Corte di Cassazione – copia non ufficiale re sarebbe più vantaggioso l’inadempimento che l’adempimento;
- che si è ritenuto non decisivo il tenore letterale dell’art. 644 cod. pen., il quale per un verso riferisce il divieto dell’usura agl’interessi dati o promessi «in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità» (primo comma), in tal modo apparentemente escludendo quelli dovuti a titolo di ristoro per il ritardo nell’adempimento, mentre per altro verso adotta un’espressione omnicomprensiva per la definizione della base di calcolo del tasso usurario, imponendo di tener conto, a tal fine, delle «remunerazioni a qualsiasi titolo» collegate all’erogazione del credito.
Quanto alla tesi opposta, l’ordinanza richiama gli argomenti sostenuti da chi ritiene che gli interessi di mora non siano regolamentati dalla legge antiusura, ovvero:
- che si è posto in risalto l’orientamento manifestatosi nella disciplina secondaria a partire dalle istruzioni impartite dalla Banca d’Italia nel 2001 e dal decreto del Ministero dell’economia e delle finanze del 25 marzo 2003, che, nel procedere alla rilevazione del tasso effettivo globale medio di cui all’art. 2, comma primo, della legge n. 108 del 1996, ha costantemente escluso dalla base di calcolo gl’interessi moratori, attribuendo una finalità meramente conoscitiva alla rilevazione del relativo tasso medio, periodicamente compiuta dall’Autorità di vigilanza (cfr. da ultimo, l’art. 3 dei dd.mm . 21 dicembre 2017, 28 marzo 2018 e 27 giugno 2018, ed il punto C.4 delle 11 Corte di Cassazione – copia non ufficiale istruzioni aggiornate a luglio 2016);
- che è stata sottolineata la ragionevolezza di tale esclusione, rilevandosi da un lato che, in quanto aventi la loro fonte nella mora del debitore, gl’interessi moratori costituiscono una voce di costo meramente eventuale, e dall’altro che l’estensione agli stessi della disciplina antiusura comporterebbe un’ingiustificata disparità di trattamento rispetto alla pattuizione di penali una tantum, aventi analoga funzione, ma sottratte all’ambito di operatività della legge n. 109 del 1996;
- che con riferimento all’aspetto sistematico, si è richiamato anche l’art. 19 della direttiva n. 2008/48/CE del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori, il quale, nel disciplinare il calcolo del tasso annuo effettivo globale, sia pure ai soli fini della trasparenza delle condizioni contrattuali, esclude espressamente dal computo dei costi eventuali penali che il consumatore sia tenuto a pagare per l’inadempimento degli obblighi previsti dal contratto di credito.
Tutte le suesposte considerazioni hanno dunque indotto la Prima sezione a richiedere che le Sezioni Unite prendano posizione sull’argomento dell’assoggettamento o meno degli interessi di mora alla disciplina antiusura e che, in caso di risposta positiva, indichino se “sia sufficiente la comparazione con il tasso soglia determinato in base alla rilevazione del tasso effettivo globale medio di cui al comma primo dell’art. 2 cit., o se, viceversa, la mera rilevazione del relativo tasso medio, sia pure a fini dichiaratamente conoscitivi, imponga di verificarne l’avvenuto superamento nel caso concreto, e con quali modalità debba aver luogo tale riscontro, alla luce della segnalata irregolarità nella rilevazione”.